Parlando di Instagram per ristoranti (o per qualsiasi altra attività che voglia aumentare il suo seguito) è impossibile non imbattersi nella parola viralità.
Molte volte è una chimera, alcune volte funziona, altre arriva inaspettatamente per un caso fortuito. Spesso però, la viralità viene scambiata per l’obiettivo ultimo dei nostri sforzi sui social, mentre in realtà è soltanto un mezzo.
La domanda che tutti dovremmo porci è cosa farcene di questa viralità e soprattutto come attrezzarci per quando finirà perché, mi dispiace dirlo, potrebbe finire molto presto.
In questo articolo analizzeremo alcuni casi virali degli scorsi anni e sfateremo un mito sui cibi “instagrammabili” grazie ad un importante studio pubblicato sul Business Journal of Research.
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Quando si punta tutto sulla viralità
Da quando esiste Instagram abbiamo assistito al susseguirsi di un trend dopo l’altro e ad una costante rincorsa dei brand verso il nuovo effetto “wow” che potrebbe far raggiungere la tanto ricercata viralità.
I più tecnologici hanno addirittura progettato intere attività ponendo la viralità alla base del loro business model. Invece di usare Instagram per i ristoranti come un mezzo per farsi conoscere, hanno creato il loro locale e i loro piatti in base a ciò che è considerato esteticamente bello sul suddetto social.
Questo approccio ha però un problema di fondo, ovvero che la viralità è una bestiola imprevedibile, nessuno sa per quanto tempo ci degnerà della sua presenza.
Il respiro del drago
Se il nostro business model si regge ad esempio su delle palline di riso soffiato colorate immerse nell’azoto liquido, dovremmo preoccuparci. È il triste caso di Chocolate Chair, la “gelateria” di Los Angeles passata dalle stelle alle stalle, come si può vedere anche da queste statistiche di Google Trend. (Spero non accada anche per l’attuale trend del Bubble Tea, ma penso proprio di si)
Dragon’s breath era il nome del gelato virale per il quale la gente faceva ore di fila, non tanto per mangiarlo (qualcuno ha descritto il suo sapore simile a quello del cartone) ma per fotografare il fumo che usciva da bocca e naso e postarlo su Instagram. Quando si è perso interesse per questa “esperienza”, puoi facilmente immaginare l’epilogo. Adesso il locale non esiste più, solo qualche traccia della sua esistenza online…
Latte d’unicorno e altre stranezze
Che dire del famoso Unicorn Latte, un latte di cocco aromatizzato con alghe e zenzero dal colore decisamente blu-viola?
I profili della caffetteria con più di 10.000 follower non sono più aggiornati da tempo, che gli effetti collaterali della viralità abbiano colpito anche loro?
Poi c’è il “dolce” più insipido del mondo, la raindrop cake, dall’incredibile aspetto di una gigante goccia d’acqua. Peccato che anche il suo sapore sia lo stesso dell’acqua. Però la foto è bella, eh!
Anche questo (non) dolce è ormai una meteora relegata alla storia degli errori da non fare inseguendo esclusivamente l’effetto wow.
Ultima menzione il toast al formaggio arcobaleno, che non mangerei neanche sotto tortura.
Instagram per ristoranti: la viralità come boost per diffondere la qualità
Quindi è sbagliato inseguire la viralità su Instagram per i ristoranti? Assolutamente no, quello che io suggerirei è più che altro di non costruirci su un intero business. Credo che la viralità debba essere un accessorio, mentre alla base ci dovrebbe sempre essere un’identità solida e la qualità imprescindibile di ingredienti e sapori.
Bisognerebbe sfruttare la viralità per far conoscere un prodotto unico, sapori particolari, un modo di fare o uno stile di vita che punti più in alto, che vada oltre una moda effimera. Le mode passeggere vanno sfruttate finché durano, ovviamente se in linea con il nostro progetto di base, in modo da accrescere la clientela senza danneggiare quella esistente.
Instagram per ristoranti: quali sono i cibi veramente “instagrammabili”?
Secondo lo studio pubblicato sul Business Journal of Research, i cibi che ottengono più reazioni sui social non sono quelli che ci aspetteremmo.
Molti di noi addetti ai lavori pensano che i cibi più “instagrammabili” siano quelli più strani e inusuali, a volte creati apposta per stupire sembrando qualcos’altro, come gli esempi visti prima (oppure i disgustosi Poop café).
In realtà, dopo aver analizzato tramite Google Vision circa 10.000 immagini di cibo e più di 800 ristoranti presenti su Instagram, i risultati ci dicono ben altro.
Lo studio evidenzia come il cibo che riceve più interazioni sui social sia quello che più si avvicina al suo aspetto tradizionale, in pratica quello che riconosciamo più facilmente. Questo è dovuto alla nostra evoluzione e psicologia.
Secondo gli studiosi infatti, abbiamo imparato a riconoscere velocemente cosa è commestibile e a calcolarne a grandi linee l’apporto calorico. Siccome in passato queste abilità erano fondamentali per la sopravvivenza, ora continuiamo ad associare sensazioni positive alle immagini che illustrano chiaramente cibo per noi commestibile. Tutto ciò si traduce in più like, commenti e condivisioni per tutti i cibi “normali” rispetto a quelli più inusuali.
Che poi, diciamocelo, qualcuno è davvero in dubbio se ordinare un latte di unicorno, un dolce che non sa di niente oppure una bella pizza? Io no di certo!
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Buona sperimentazione!